GONZO REPORTS

#6

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Steve Gunn @ Neon Caffè 29 10 13

Jay

Shots by Marina Cellarosi © / All rights reserved

Nella Terra di Ooo, martedì sera era di nuovo martedì ed oltretutto era sera, ed io – caro lettore – stavo soppesando le infinite opportunità di intrattenimento casalingo serale che serotine e copiose si dipanavano al cospetto del mio sguardo canino, solleticato dall’influsso rassicurante del CMC[i] ed al sicuro nella pancia dell’albero-casa in cui dimoro con Finn e la PSB[ii], la quale però quella sera, all’imbrunire – quando il cielo si tinge del colore preferito dalla Principessa Gommarosa ed il sole, attratto dal margine occidentale dell’orizzonte di Ooo, si allontana dalle Terre Erbose, sfiora lo Spazio Bitorzolo e cala oltre Dolcelandia[iii] – s’era già bella e che volatilizzata, in ossequio ad uno dei 10 tutti parimenti regali ruoli – picchi della catena montuosa coronata dalla torreggiante trinità delle 3 M (Madre, Moglie, Manager) – che invariabilmente assume dall’alba al tramonto, saltando da uno all’altro con noncurante flessibilità, come una rana a caccia di zanzare in uno stagno di ninfee.

Avrei potuto dilettarmi nelle faccende domestiche, ad esempio, rassettando la cucina dopo la frugale cena consumata con Finn; poi, una volta facilitato l’approdo dello stesso Finn sull’isola di Orfeo, avrei potuto indossare il costume da Coglione™ ed accomodarmi sul divano in quelle confortanti sembianze, per assistere a qualche programma bieco e deficiente, che comunque – contrariamente a Donny, che quando fa l’idiota emana un Gas Scemogeno letale per i Luperché – non ha effetti collaterali di rilievo, a parte ridurre il cervello in pappa a chi forse in pappa già l’ha, annodandogli tutte le sinapsi con lo spago dei jingle degli spot delle auto a metano e gpl dai quali è continuamente interrotto, non prima però di averne blandito il deprecabile ego con un complice colpo d’anca scosciata di qualche bella – ehm – signora, che si trova a passare per caso nello spot stesso, mentre va al Wall Mart a ricomprarsi le mutande che deve avere sbadatamente lasciato in qualche spot precedente.

Avrei potuto chattare con te, caro lettore, con lo smartphone nuovo di zecca appena regalatomi dalla famosa casa produttrice di telefoni[iv] che ha copiato il vecchio logo creato appositamente dal copywriter inconsapevole e sbadato che in giro si fa chiamare “Creatore”, per la scena clou della soap “Adamo ed Eva”[v], i cui esterni furono girati tutti in quella location dal nome supercool – Paradiso Terrestre – quando ancora era affittabile per girarci le soap, e molto prima che al suo posto costruissero un efficiente impianto eolico, le cui pale, oltre a produrre tutt’altro che asettica energia per servizi di dubbia utilità, scompigliano le foglie dell’Albero della Conoscenza del Bene e del Male, con i conseguenti opinabili effetti di assoluto disorientamento in campo etico che potresti immaginare, caro lettore, se il sistema appena descritto non ti avesse completamente privato della capacità di farlo.

Avrei potuto ficcarmi a letto, con una tazza fumante di tè ballerino[vi] sul comodino e le coperte tirate su fino al mento, e dedicarmi alla consueta lettura serale – che di solito, in ossequio ad un mio malcostume sonnambolico ormai consolidato, non inizia mai prima della seconda ora del giorno seguente a quello entro il quale dovrei coricarmi – una favola della buonanotte di 1063 pagine, indice escluso, opera dell’immenso WTV[vii] di Santa Monica, CA (che attualmente puoi trovare a Sacramento, CA, se ti servisse un consiglio per superare il blocco dell’immaginazione che ti assilla), opera nella quale mi ritrovo perduto a pagina 485, il 23 novembre 1942, intontito dal sonno e irrigidito dal gelo che mi scricchiola addosso stringendomi nella sua morsa, tra il Don a ovest ed il Volga ad est, nel kessel[viii] della Stalingrado accerchiata dall’Armata Rossa.

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Invece, complice il protrarsi dell’estate indiana, ho deciso di uscire nell’aria tiepida di fine ottobre per il concerto di Steve Gunn al Neon di Rimini; un bar posto lungo il cardo dell’antica colonia romana fondata 268 anni prima che il già citato copywriter mandasse giù suo figlio per una visita alla Terra di Ooo piuttosto breve, a dire il vero, benché foriera di insospettabili e alquanto articolati sviluppi futuri, tutt’ora in pieno fermento, come le bollicine nelle bottigliette di birra ghiacciata, decisamente più recenti, di cui il suddetto bar si sarebbe rivelato piacevolmente provvisto.

Ti dico subito, caro lettore, che stavolta a disertare una serata così l’hai fatta davvero grossa. Perché è stata una serata jakecosmica, amico mio. Finntastica, altroché! Ogni cosa al suo posto, come ad una colazione della Famiglia Perfetta di un tv serial americano, con highlights della caratura di “Ciao caro, hai dormito bene stanotte?”, il giornale sul tavolo, le fette di pane tostato che scattano dal tostapane esattamente al tuo arrivo in cucina, e tutta quella pletora di figli educati e composti, tutti di buonumore – nonostante siano ben consci che, se messo alle strette, difficilmente ricorderesti con precisione tutti i loro compleanni – i più grandi a consigliare i più piccoli, tutti amorevolmente complici, con le carrellate slow-mo ed i filtri flou su quei piccoli volti paffuti baciati dal sole che sorge oltre il prato, – il prato sì, c’è anche il prato, e qualcun altro l’ha già tagliato in vece tua – con i back reveal che scivolano via lenti dai loro visi abbracciando di nuovo tutto quell’ambiente caldo, accogliente – perfetto, insomma – mentre i figli volgono a te lo sguardo, in sincrono, le loro teste pettinate nella controluce del mattino, e benevoli ti osservano scendere gli ultimi gradini che ti separano da loro, rendendoti omaggio con garbo quando ti siedi, «Buongiorno, buongiorno, buongiorno…» Ma a che ora si svegliano nel tv serial americano per fare colazione con tutta questa ostentata flemma, finanche conversando amabilmente, magari con già alle spalle una doccia tonificante, che io la mattina mi alzo con gli occhi stretti, barcollo al buio fino alla tazza del cesso, e senza aprire le imposte, in piedi, faccio quello che non puoi più immaginare per via del problemino di cui soffri, e – ta-daa – sono già in ritardo?

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Una serata dagli incastri perfetti, caro il mio dolcibotto, ogni cosa al suo posto, come in sogno.

E forse… forse è stato solo un sogno che ho fatto riverso sul divano, addormentato nel mio costume da Coglione™ davanti alla TV ronzante che gracchiava, impietosa: «Amundsen ha trionfato grazie all’organizzazione, alla programmazione, anticipando le difficoltà che avrebbe dovuto affrontare una volta in situ. La spedizione di Scott è stata un disastro, invece. Scott si era affidato a mezzi cingolati, molto avveniristici per l’epoca, ma che poi con il ghiaccio si sono guastati, Amundsen invece, con una slitta trainata da cani, ha…»

Nel sogno, le cose sono andate così.

Entro al Neon e noto che – strano a dirsi, tenuto conto del nome del bar – le uniche luci che illuminano l’ambiente sono i neon affogati sotto il ripiano traslucido del bancone, con la conseguenza che chi è più alto di tale superficie è illuminato da sotto in su, come in un mondo capovolto ocra[ix] e glowy, la cui fuga prospettica centrale è una lampada da tavolo sferica che strizza l’occhio alogeno giallo[x] da un vano oltre la porta che si apre sulla parete opposta all’ingresso, mirabile icona degli anni d’oro del forniture design del secolo scorso di cui non ti dirò nulla, poiché ora ciò che importa è rilevare i modi squisiti con cui il barman mi accoglie, «Tu sei Jake!», stringendomi la zampa, affabile, ed informandosi sulla mia conoscenza dell’opera di Gunn, con fare curioso. Mica come quella arpia che sorveglia il varco di cui ti ho raccontato nel GR # 2, la CSBA[xi], per la quale un richiamo alle buone maniere sarebbe più urgente di una doccia per il Sasquatch[xii]. Fatto ancor più lodevole, il barman mi presenta alla rossa che mi affianca lungo il bancone, cui non lesino la mia ouverture più classica «What’s a sweetheart like you doin’ in a dump like this?[xiii]», perché è ai classici che ci si affida quando si è colti alla sprovvista, giusto? Così accenno all’american primitive guitar e lei ribatte con il punk ed il grunge, offrendosi di fotografare il concerto per me con il suo smartphone nero, che fa bella mostra, sul dorso, del logo rubato argento di cui sai, parlandomi dei suoi due lavori e chiudendo benevola il vuoto lasciato da me, che del mio lavoro parlo poco anche sotto tortura, e la nostra intesa, come capita, cresce proprio grazie a questa distanza diametralmente opposta – e all’alcol, ok –  artificiosa come l’illuminazione al contrario di questo bar, e più fragile dell’estate indiana che ci aspetta fuori.

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Reports from the edges of the stage & beyond

Poi questo tizio alto così esce dalla porta di cui sopra con una Guild acustica da $ 4.999,99 (nel 2013)[xiv], e solo a sentirlo che l’accorda, gli astanti ammutoliscono e per un’ora non fiateranno più, perché, solo accordandola, Steve la suona già meglio del 99% dei chitarristi a cui questi abbiano mai prestato orecchio. Il fingerpicking esagerato ed ipnotico del nostro e la sua voce ispirata decollano sulle note di “The Lurker”, ammaliano con un inedito per slide che sa di frontiera, fanno girare la testa con “Water Wheel” e le altre perle di “Time-off”, irretiscono con il gradito ripescaggio di “Dusted Mind” e si dilatano nella lunga e mesmerica “Trailways Ramble” in chiusura, letteralmente incantando, tanto che gli intervenuti durante tutta la performance chiedono da bere servendosi esclusivamente di gesti, come se il bar fosse finito sott’acqua, mentre la stella di questo ragazzo pulsa da impazzire, sempre più, fino a dare l’idea che, da un momento all’altro, possa esplodere e spazzare via tutti noi, il bar, la vecchia colonia romana e magari anche il sogno che ci racchiude. Caro Jack Rose, dovunque tu sia, sorridi: Steve Gunn ha raccolto l’eredità ed ora va per la sua strada con la schiena dritta.

Sì, sì, lo so, avrei potuto restare a casa e scrivere una poesia spudorata e sottile sul nostro primo surreale incontro, nessuno se ne sarebbe curato, sai, solo parole sparse intorno a te senza citarti mai, come aggirare una pozzanghera per non bagnarsi i piedi, iniziando al solito con un totale spreco di immagini, per svegliare ciò che è sopito in te, l’avrei potuta scrivere perché si annoiava a morte e voleva essere scritta, voleva essere te[xv], ed accompagnarla bendato al di là del bosco dei pensieri inutili, ad occhi chiusi oltre le cenge friabili della retorica fine a se stessa, mano nella mano[xvi] fino in vetta, col fiato in gola, per poi lasciarla andare al largo e guardarla da riva mentre rimpicciolisce, mentre si allontana da me senza voltarsi, lasciando intuire che anche stavolta la fine l’avrebbe decisa lei.

Invece l’ho tradita per un paio di birre, una sconosciuta rossa che ama il grunge (nel 2013), ed un tizio alto così, di Philadelphia, PA, che però vive a New York, NY, e scrive lunghe lunghissime storie per la sua Guild, che non finiscono mai con una fine.

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[i] Campo Magnetico Casalingo, ndr.

[ii] Principessa dello Spazio Bitorzolo, ndr.

[iii] Ti è chiaro che era sera, caro lettore?, ndr.

[iv] Quale ringraziamento per i servizi resi dalla pubblicità occulta negativa dispensata dal sottoscritto a totale detrimento della diretta concorrente (vedi GR # 4), ndr.

[v] Così sbadato da lavorare 24 ore al giorno per 6 giorni, like a mule, e presentarsi all’Ufficio Brevetti per depositare il marchio di domenica (dunque in ritardo rispetto a quello sfaccendato – altro che nomen omen – di Steve Jobs che, avendo assistito al making della citata scena clou, ed essendone stato letteralmente folgorato, aveva già provveduto al deposito dello stesso marchio in settimana), giorno che tra l’altro, per colmo di sfiga, è proprio dedicato al Creatore stesso; di domenica, cribbio, cioè nell’unico giorno in cui – lo sanno anche quelle capocchie di spillo delle Guardie Banana, accidenti –  tale ufficio osserva un meritato riposo, cui quella volta fu costretto Egli Stesso a rassegnarsi, dopo avere messo una volta per tutte a nanna le residue possibilità di diventare ricco sfondato con lo sfruttamento dei proventi del suddetto marchio, e rimboccato loro ben bene le coperte. Ciò potrebbe metterti una volta per tutte sulla strada buona per dare una risposta un po’ meno campata per aria di quella – risibile – fornita dalla geofisica tettonica riguardo al perché ci siano terremoti così devastanti in California, ndr.

[vi] Finn, la Principessa Gommarosa ed il sottoscritto fummo introdotti alla cerimonia del tè ballerino dalla Principessa dello Spazio Bitorzolo (PSB) ormai qualche anno fa. Ricordo che quella volta Finn si lamentò della difficoltà di bere il tè nello stravagante luogo in cui si svolse il nostro incontro, in pratica, una serie di  piattaforme rimbalzanti. Gommarosa  lo invitò allora a tranquillizzarsi, sostenendo che per padroneggiare alla perfezione la tecnica necessaria a bere il tè ballerino sarebbero occorsi anni. Al che intervenne la PSB, la quale garantì che, al contrario, farlo era facile, ma Finn la apostrofò dandole dell’imbrogliona e ricordandole che per lei era facile poiché – al contrario di noi tre – anziché rimbalzare, fluttuava come suo solito a mezz’aria.  La PSB, piccata dall’osservazione di Finn, spense i suoi poteri, con l’intento di dimostrare a quest’ultimo di essere in ogni caso in grado di bere la bevanda senza il loro aiuto, riuscendo però  a procurarsi null’altro che una brutta caduta, durante la quale mi diede accidentalmente un morso. Subito l’impronta del morso iniziò a tramutarsi in bitorzolo, e mentre io la ignorai derubricandola a nulla di preoccupante, la PSB spiegò che si trattava invece della prima fase della Bitorzolia: una malattia che si verifica ogni volta che una persona dello Spazio Bitorzolo morde una “persona liscia” (simile alla maledizione dei lupi mannari). La Bitorzolia avvia il processo di trasformazione di una persona liscia in una dello Spazio Bitorzolo, e se la vittima non è curata entro il tramonto, resterà per sempre bitorzola. Intanto, il mio braccio destro e la corrispondente gamba avevano già cominciato a diventare bitorzoli, così la PSB portò Finn e me nello Spazio Bitorzolo alla ricerca dell’antidoto. Anche la Principessa Gommarosa sarebbe dovuta venire con noi, ma fu costretta a ritirarsi in bagno sospirando «Non avrei dovuto bere tutto quel tè». La PSB ci condusse nella Foresta di Zucchero Filato fino al portale, costituito da una rana ed un fungo: la PSB recitò alla rana la password, che era “CHISSENEFREGA2009!”, e fummo trasportanti nello Spazio Bitorzolo. Lì, la PSB prese a mostrarci casa sua, ma Finn la richiamò all’urgenza della situazione, allora lei ci rivelò che l’antidoto si trovava al Promontorio dello Sbaciucchio, ma che per raggiungerlo avremmo dovuto usare un’auto o saremmo caduti nell’Abisso Bitorzolo. La PSB tentò di servirsi dell’auto dei suoi genitori, ma loro glielo proibirono poiché lei gli fece il verso, mancando loro di rispetto, dileggiando il padre perché riteneva inammissibile la presenza di persone lisce nello Spazio Bitorzolo e facendo piangere la madre. Finn chiese alla PSB se conoscesse qualcun altro in possesso di un’auto e lei rispose che la sua amica Melissa ne aveva una, ma che la stessa aveva preso ad uscire con il suo ex-boyfriend, Brad. Finn era frustrato dal fatto che la PSB si stava di nuovo dimenticando dell’urgenza della situazione. Lei chiamò Melissa, che le ricordò che proprio quella sera c’era il settimanale ballo scolastico dell’orgoglio bitorzolo, il che sconvolse immediatamente la PSB, poiché se ne era dimenticata. A quel punto Finn le prese la cornetta di mano, e fingendosi lei chiese a Melissa se potesse portarci al Promontorio dello Sbaciucchio e questa acconsentì. Intanto la mia bitorzolia stava peggiorando al punto che avevo iniziato a comportarmi come una persona dello Spazio Bitorzolo. Melissa ci diede un passaggio fino al Promontorio dello Sbaciucchio, fermandosi prima a casa di Brad per prelevarlo. La PSB sentenziò che quel viaggio sarebbe stato colmo di tensione romantica, e appena Brad salì in auto con noi, ci rivelò che, quando loro due uscivano insieme, lei era solita sedersi con lui nei sedili posteriori a sgranocchiare patatine al formaggio e chili. Al Promontorio dello Sbaciucchio, incontrammo tre persone dello Spazio Bitorzolo (Monty, Lenny, e Glasses) che odiavano essere bitorzoli ed usavano una sfera (l’antidoto) in modo da sembrare lisci. Stavano per passare l’antidoto a Finn e me, quando la PSB saltò fuori insultandoli ed apostrofandoli con l’epiteto di “poseurs”. Finn gridò alla PSB di aver rovinato tutto e lei, sentendosi offesa, urlò di rimando che stava cercando di fare meglio che poteva, poi si dileguò diretta al ballo scolastico, insieme a me che, improvvisamente, mi ero completamente trasformato in bitorzolo. Finn biasimò se stesso per non essere stato in grado di salvarmi e poi, in un eccesso di rabbia, dichiarò che avrebbe distrutto lo Spazio Bitorzolo. I poseur, colpiti dall’odio di Finn per ciò che è bitorzolo, indietreggiarono  consegnandogli l’antidoto. Poi Finn dovette preoccuparsi di trovare il modo di raggiungere il ballo scolastico, ma i poseur lo misero in guardia ricordandogli che sarebbe certamente caduto nell’Abisso Bitorzolo, essendo una persona liscia. Allora Finn comprese che per farcela avrebbe dovuto essere bitorzolo, così si fece mordere dai poseur ed i morsi multipli accelerarono il processo di bitorzolizzazione. Dopodiché, irruppe nell’edificio dove si teneva il ballo e mi vide, Jake Bitorzolo, alle prese con le danze. Finn tentò di somministrarmi l’antidoto, ma a causa del mio nuovo comportamento bitorzolo rifiutai, proprio mentre anche lui si trasformava completamente in bitorzolo. Poi quando Finn Bitorzolo fece per andarsene con l’antidoto, ci azzuffammo per il suo possesso, ed infine, accidentalmente, mi sedetti sull’antidoto e ritornai di nuovo normale. Finn Bitorzolo si rifiutò di sedersi sull’antidoto e tentò di fuggire, ma si scontrò con un energumeno dello Spazio Bitorzolo e perse conoscenza. Si svegliò seduto sull’antidoto, già tornato normale. Finn si scusò con la PSB, per aver inveito con lei, e la PSB ci disse che avremmo potuto fare pace se le avessimo concesso un ultimo ballo. Io risposi con voce bitorzola, fingendomi ancora bitorzolo, ma poi dissi loro che stavo scherzando, e così ballammo.

[vii] William T. Vollmann, ndr.

[viii] “Il calderone”, altresì universalmente noto come la “Sacca di Stalingrado”, nella quale la 6ª Armata tedesca, composta da un numero di soldati dell’Asse tra i 250.000 ed i 280.000, si trovò in trappola, accerchiata dall’offensiva russa partita il 19 novembre 1942 con l’operazione Urano, il cui successo, pressoché evidente dopo solo quattro giorni, produsse un repentino ribaltamento dei ruoli in battaglia, con l’assediante che diventò l’assediato; la tipica situazione del kessel, insomma, ndr.

[ix] Ma a questo colore fai la tara che ritieni di fare, tenuto conto che la mia vista è affetta da disturbi cromatici da fare invidia a Van Gogh, ndr.

[x] Vedi ix, ndr.

[xi] Cortese Signora Bionda Astigmatica, vedi GR # 2, dove il termine “Cortese” è sempre stato usato con sarcasmo, se non l’avevi capito, ndr.

[xii] Sarebbe l’Abominevole Uomo delle Nevi: se non fosse per il problema di blocco dell’immaginazione più volte citato all’interno di questo report, potresti figurartelo come un grosso scimmione, piuttosto peloso e del tutto indifferente alle basilari regole igieniche, che scorrazza sulle nevi perenni delle catene montuose più impervie, ma tant’è, fai come me, vai su Wikipedia, ndr.

[xiii] Cosa ci fa una laureata in Lettere Classiche e Storia Antica come te in una discarica come questa?, ndr.

[xiv] Benché, come ben sai, non ci sia un culo che valga più di $ 50 (nel 1977), ndr.

[xv] Caro lettore, non volermene, non so come altro dirtelo per cui sparo e basta: ho scoperto che i lettori di questo blog non sono lettori, bensì lettrici per il 54%, con una preziosa e benvenuta componente tra i 18 ed i 35 anni che si attesta intorno al 37% del totale. Insomma amico, sei un’amica, capito? Quindi, conto fino a tre e poi passo senza ulteriori indugi a fare il cascamorto con te, d’accordo? Non te la prendere, dai, amici come prima, ok?, ndr.

[xvi] Sì, sì, lo so, sono un cane giallo, per cui non ho mani, ma zampe, però cerca di immaginartele lo stesso, fa parte della terapia di riabilitazione dal tuo brutto blocco: fai uno sforzo, dai!, ndr.

#5

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Dead Meadow @ Sidro Club 22.10.2013

Jay

Lo sanno anche quelle teste di capocchia delle Guardie Banana, che sono solo degli sciocchi mutanti prodotti dalla Guerra dei Funghi abbattutasi in passato sulla Terra di Ooo, che se vuoi fondare una rock band psichedelica ti toccherà premurarti di infilarle un colore nel nome, mentre se vuoi partorire una punk band allora è alla morte che dovrai rivolgerti per battezzare la tua creatura, alla morte e ai suoi fedeli servitori, gli agenti della decomposizione ed il marciume in genere (avendo magari l’accortezza di toccarti pure i soprammobili, se ritieni – caro lettore – e di farlo prima di maneggiare tali schifezze).

Infine, soltanto se proprio vorrai distinguerti per quel dannato eclettico che dici di essere, e dunque sarà ad una punk band sui generis che aspirerai, grazie alla quale, dopo un triennio seminale per l’hardcore, aprirai a cadenze più compassate, permettendo al frontman venuto da Washington, DC di declamare le sue spoken words – che ha scritto nel diario del tour europeo dell’81 con i Minutemen, diario che con l’ossessiva lucidità che lo contraddistingue continua a ritrovare puntualmente, nonostante Dez, Chuck e tu glielo nascondiate ogni volta che vi gira le spalle tatuate – snocciolando stentoreo sermoni d’amore per il suo ego, sul suo ego, e con il suo ego a far da comparsa quando meno te l’aspetti, in faccia agli attoniti kids che, poveracci, erano venuti solo per sentirti suonare Six Pack, 19th Nervous Breakdown, TV Party, Depression e Louie Louie, soltanto in tal caso, dicevo, in spregio alle di cui sopra enunciate 2 regolette, incastrerai a forza un colore nel nome della tua band, ma sarai limitato dagli Dei del Rock all’uso del solo nero, e tuo fratello Raymond ti suggerirà quel nome, disegnando anche – pensa te, che culo avere un fratello creativo –  quel logo jakecosmico e finntastico con la bandiera divisa in quattro rettangoli verticali, roba da fare impallidire Joseph Albers e Mark Rothko – e il nome sarà…[i]

Così, la band di cui ti racconto questa volta, affezionato lettore, si è trovata in coda alla fila della mensa dei poveri gruppi senza nome, quando ormai altri si erano pappati le portate psych più succulente (Blue Cheer, Black Moth Super Rainbow, Green River, Pink Floyd, Great White, Deep Purple, King Crimson, Quicksilver Messenger Service, Red Crayola, Cream, Yellow Magic Orchestra, etc), nonché gli scarti punk più avariati (Dead Kennedys, D.O.A., Dead Boys, Dead Fucking Last, Dead Milkmen, Germs), ed altri ancora avevano dato sfogo al loro eclettismo sovvertendo le 2 regolette sopra citate (Grateful Dead e Black Flag), per cui i nostri, come sciocche Guardie Banana, non ci si sono più raccapezzati, sono andati nel pallone, hanno preso la tangente, si sono abbandonati alla deriva, e fluttuando su quel brodino di scarti che gli restava hanno pescato questo nome loffio, Dead Meadow – prato morto – che neanche i rangers del Sequoia NP avrebbero potuto fare peggio; e stiamo parlando di gente che ha chiamato Moro Rock un monolito di granito che affaccia sulla Central Valley ed il Great Western Divide, per il semplice fatto di trovarlo un po’ più scuro degli altri sassi nei dintorni; Crescent Meadow un prato in mezzo alla Giant Forest, che allude sfacciato alla sinuosa forma della mezzaluna; Tunnel Log un tronco di sequoia abbattuto attraverso il quale hanno scavato un passaggio per le loro onnipresenti auto; nonché General Sherman TreeGeneral Grant Tree, e così via, per tutti gli alberi che gli è parso di nominare con i nomi dei vecchi generali della guerra di secessione.

22102013853Quindi, martedì sera era martedì ed era già sera, e questo nome loffio e sfigatello, prato morto, era la secca in cui si erano incagliate le mie anemiche trame di fuga dal CMC (Campo Magnetico Casalingo, ndr). A ciò aggiungi che i dolcibotti, inizialmente dichiaratisi favorevoli all’uscita, avevano già recapitato al sottoscritto il loro consueto florilegio di defezioni con allegate scuse, tra le quali spiccavano l’immaginifica “La mia auto si è rotta in Texas.” ad opera di Fettuccina, la medica “Tosse, raffreddore e un po’ di febbre… salto per causa di forza maggiore!” licenziata da Cannello, l’avventuriera “Non credo di riuscire a venire perché ho una riunione di lavoro a Capo Nord dalla mattina, quindi o mi fermo al concerto al ritorno o, se sarò stanco come credo, salterò!” e l’aleatoria “Se per caso riuscissi a sopravvivere alla giornata e tornare in tempo, e ti chiamassi poco prima, mi passeresti a prendere?” entrambe ascrivibili all’estro del Conte Limoncello, l’alambicco “Sabato scorso mi avevi detto che il concerto era lunedì, non martedì! Martedì non posso, la mia fidanzata ha già un impegno.” dal ricettario del Dott. Ciambella – ehi doc, avevo invitato te, non tua moglie, ok? -, il filosofico “Mi piacerebbe molto, ma come ben sai Jake, tra il dire e il fare…” dono dell’ermeneutica di Flambo, ed il minimalista “Mi dispiace io non ci sono” vergato per sottrazione da Maggiormenta.

Cionondimeno, approfittando dell’assenza della PSB[ii] tra le mura domestiche (se vogliamo chiamarle così, benché – di fatto – si tratti piuttosto delle pareti cave di un bell’albero, con le radici ficcate nel fertile suolo della Terra di Ooo), e del conseguente progressivo indebolimento del CMC stesso provocato da cotanta assenza, ho ficcato Finn nel letto e mi sono fiondato al Sidro Club di Wall, SD[iii].

Ed eccomi qui seduto su una panca fuori dal Sidro, in questa tiepida notte d’autunno del South Dakota, a trangugiare birra che, in via del tutto eccezionale, la Barista a Pois mi ha affidato evitando di rifilarmi la solita patacca[iv], a seguire con lo sguardo le luci della zona artigianale di Savignano convergere in fuga, attraverso la prateria, verso l’ombra frastagliata delle Black Hills, le colline sacre dei Lakota di Crazy Horse, mentre questa band di supporto, Three Eyes Left, che a giudicare dal nome si è messa anche lei in fila a ritirarlo prendendosela piuttosto comoda, fa tremare la vetrata alle mie spalle con i toni bassi del loro stoner-metal-sludge, che ascoltato da qua fuori non è poi tanto diverso dall’effetto che farebbero le macchine idropulitrici esposte nella vetrina della ditta a fianco, se un disco volante sfrecciasse a bassa quota sopra questi tetti provocando l’improvvisa accensione di tutto ciò che è elettrico, oltre alla caduta di qualche tegola.

«Ma questi lo sanno che l’apice di ‘sta roba si chiama Lysol e l’hanno già incisa i Melvins?» sentenzia il vecchio saputello di turno, mai abbastanza lontano da me, un attimo dopo avere invitato un tizio che sembrava volere fare pace con lui ad innominabili pratiche orali genuflesse a suo favore – sempre a squarciagola, ma servendosi del delizioso dialetto locale – ed appena prima di intavolare un’apologia accorata e del tutto sconclusionata a favore dell’ultimo ennesimo album di cover di Mark Lanegan, così di parte e beota da fare arrossire di vergogna tutti i Doug Fir di Ellensburg, WA, compreso il lounge. Poco più in là, nel piazzale, una troupe televisiva sta facendo interviste agli astanti, il che mi fa supporre che la notte del South Dakota stia per diventare il prossimo hype, ma non ci giurerei.

22102013854Prendo a far dentro e fuori dal locale, impaziente, incrociando ogni tanto lo sguardo con la CSBA (Cortese Signora Bionda Astigmatica, vedi GR # 2, ndr), che ha la fissa di fissarti dritto negli occhi, da dietro quegli occhialini di cellulosa bianca, con sincere occhiate di rimprovero che io trovo sexy da morire – sì, mi fai, CSBA, adesso basta ipocrisie, ok? – ma che forse dovrei prendere più seriamente, non so, mentre i Tre Occhi Rimasti continuano a sbriciolare ben meno nobili bulbi – a proposito dei quali l’unico altro indizio che ti fornirò stasera, lettorino amoroso, è che me ne sono rimasti due – ed io comincio a chiedermi come farò a sopravvivere al secondo gruppo di supporto senza che nuove rughe solchino il mio volto sciupato, quando, fuori dal Sidro, la Principessa Fantasma (PF) mi appare nel cielo nero della prateria annunciandomi di essersi presa personalmente cura della Strangers Family Band – di cui so solo che si devono essere messi in fila a ritirare il nome quando ormai gli uffici dovevano avere chiuso i battenti – spaventandoli e mettendoli in fuga dalle parti di Sturgis, SD, almeno fino a che tale spavento e la minaccia incombente della regale spettrina non li ha fatti letteralmente esplodere, a suo dire, come dolcibotti qualsiasi.

Quindi, se non sei stato schiacciato dalle possenti zampe di queste premesse elefantiache e stai per goderti lo scarno resoconto del concerto della band con il nome del cavolo che sai, perché sei ancora qui a leggere, secchione caro, proprio mentre fuori della porta, nel tuo quartiere, ragazze giovani, alte ed incredibilmente belle, in abiti succinti di percalle, vagano annoiate e sole in cerca d’amore, sobillate dal dolce tepore dell’estate indiana e disorientate dalla miserevole “app bussola” dei loro iphone, i cui schermi riflettono interrogativi nasini all’insù e perplessi battiti di ciglia arricciate, meravigliosamente allineati ed in sincrono con le pulsazioni cosmiche che rimbombano nella cassa toracica della Terra di Ooo, lo devi di sicuro alla tua perseveranza, oltre che ai tuoi deprecabili gusti, ma ricordati di ringraziare anche la solerte PF[v], accorsa in mio aiuto quando le forze vacillavano, ed io stavo per gettare la spugna.

23102013860Reports from the edges of the stage & beyond

Ed eccomi qui, con sulle spalle un mammuth di sonno e alle spalle i kids del rock acido, alle porte di un mercoledì mattina lavorativo, in piedi col mal di piedi nella postazione migliore per seguire un concerto di un power trio, cioè sull’orlo del palco, al vertice basso del rombo formato da batteria in alto, chitarra a dx e basso a sx.

Eccomi qui, mentre i Dead Meadows snocciolano piano il loro neo psychedelic stoner rock, dove neo significa che oggi, nel 2013, ci sono band di trentenni che si sono rimesse a suonare quella musica che altre band di altri trentenni suonavano prima del punk, rigidamente dentro canoni estetici e soluzioni sonore ultra datate – per quanto godibili – che tanto per dire prevedono anche l’assolo di chitarra, che si credeva estinto da quella volta che un enorme meteorite, impattando con il Colorado Plateau, formò il Meteor Crater di Winslow, AZ, quando ancora non c’erano nessuna Winslow e nessuna Arizona, e l’intero Colorado Plateau non era altro che una rossa montagna sommersa nella Pangea di tua nonna; band di trentenni, dicevo, che anziché riferirsi agli Dei del desert rock degli ’80 e dello stoner dei ’90 del secolo scorso (cioè segnatamente e rispettivamente THIN WHITE ROPE e KYUSS), si sono messe a scartabellare nella collezione di dischi dei loro rattrappiti patriarchi, tirando fuori i vinili ammuffiti dei due John con il manico a mollo nell’acido dei ’60 del secolo scorso (che per te che non c’eri – ciccino – di cognome fanno Garcia e Cipollina).

Così, piano piano, ‘sti bravi picciotti rilassati e compassati, dopo aver ringraziato i guys per ben 3 volte per essersi presentati al concerto nonostante fosse martedì, suonando perlopiù i brani del loro ultimo album, ma concedendosi anche a qualche gradito passo indietro (“The Great Deceiver”) vincono la mia iniziale diffidenza e mi portano via di qui, ed è proprio perché la loro musica è così vecchia e scontata, che oggi funziona a meraviglia, oggi che non c’è più alcun presente. Mi portano via di qui, dove strisciano i sonagli del wah-wah di “Six to Let the Light Shine Thru”, si innalzano i crescendo acidi di “1000 Dreams”, si dipana la discesa agli inferi di “Rains in the Desert”, ed i cavalli selvaggi di “Yesterday’s Blowing Back” attraversano al galoppo l’altipiano riarso come fantasmi, perdendosi nel labirinto di pinnacoli di “This song is over” – l’occhio del falco è la telecamera – ed io sono ancora una volta in piedi sul Mesa Arch che guardo il sole sorgere dietro le La Sal Mountains, mentre l’intradosso dell’arco si tinge di rosso fuoco, sono steso a Muley Point sul bordo della Cedar Mesa a godermi la vista del confine della San Juan County, la Monument Valley, la Valley of Fire, i goosenecks del San Juan River, cammino sul parapetto del Dewey Bridge sul Colorado, nei dintorni di Moab, UT, sono accovacciato cercando l’ombra del ginepro mentre dal lembo estremo del south rim contemplo Spider Rock stagliarsi davanti a me come un’enorme dente rosso spuntato dal Canyon de Chelly, sono a Dead Horse Point al tramonto senza nemmeno un francese in giro a stappare champagne[vi], sono ad Island In The Sky, seduto sul macigno a Grandview Point, sono a Hopi Point a fissare il north rim del Grand Canyon tingersi del rosa dei suoi coralli, sono sotto l’Owachomo bridge senza più un goccio d’acqua nella borraccia…

Sono Robert LeRoy Parker[vii], il 24 giugno 1889 fuori dalla San Miguel Valley Bank di Telluride, CO, con Matt Warner ed i due fratelli McCarty, prima di entrare, prima di sparire a Robbers Roost, Nowhere, UT, con $ 21.000 nelle bisacce dei cavalli; Robert LeRoy Parker, il 13 agosto 1896, con Elzy Lay, Harvey Logan e Bob Meeks davanti alla banca di Montpellier, ID, a fissare negli occhi $ 7.000 da sotto la tesa del cappello, pochi giorni prima di reclutare Harry Longbaugh[viii] nel Mucchio Selvaggio; Robert LeRoy Parker, il 21 aprile 1897 a Castle Gate, UT, ad aspettare con Elzy Lay che gli uomini della Pleasant Valley Coal Company escano dalla stazione ferroviaria con le paghe per i minatori, un sacco contenente altri $ 7.000 in oro; sono Robert LeRoy Parker, George Curry, Harvey “Kid Curry” Logan, Harry Longbaugh, Elzy Lay, Ben Kilpatrick, Harry Tracy, Will “News” Carver, che cavalcano liberi nella terra delle rocce-in-piedi, nei labirinti, nei bacini riarsi, sotto i pinnacoli, le guglie, le balanced rocks e gli archi, lungo le creste ed oltre esse, in fuga verso Hole-in-the-Rock, WY, verso il deserto di San Rafael, Shenanigans Canyon, Leprechaun Canyon, verso il Maze, verso Canyonlands, dove come un miraggio la storia evapora e si congeda, per lasciare che sia la leggenda a prevalere, alla fine.

E tutto per € 8, senza consumazione.

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[i] Ti piacerebbe, eh? Su, su, un piccolo sforzo!

[ii] Principessa dello Spazio Bitorzolo, ndr.

[iii] Vedi GR # 2, ndr.

[iv] Vedi GR # 2, ndr.

[v] La quale PF, si accomiatò con i suoi modi che non so se solo timidi o anche sbadati, sussurrando piano e scandendo lentamente, quasi incomprensibile, un «C-i-a-a-a-o, J-a-a-a-k-e…» flebile, frutto della sua spiccata insicurezza ed innocenza, ignara di ciò che le sarebbe accaduto proprio quella notte, dalla quale sparì letteralmente senza lasciare alcuna traccia di sé. La settimana seguente, Finn ed io, sfrecciando su una poltrona-slitta tra le montagne del Regno di Ghiaccio, cademmo in un buco, incappando in Re Ghiaccio in barbuta persona, facendolo infuriare per la nostra disinvolta violazione territoriale, e dopo aver lottato contro i guerrieri di neve evocati dal Re, venimmo imprigionati in un enorme cubo di ghiaccio, e tradotti dal Re stesso, tramite una carriola, nella prigione del suo castello, dove trovammo rinchiuse sette principesse che chiedevano di essere liberate. Al che, Finn chiese a Re Ghiaccio lumi sul perché di quella copiosa cattura, e quest’ultimo rispose che era assillato dalla scelta della sposa giusta per lui. Le principesse però non volevano saperne di sposarlo, e si fingevano lusingate e divertite dalle morbose attenzioni del Re, per paura di essere uccise. Re Ghiaccio, ascoltata la PSB dire che non si stava divertendo per niente, obbligò le principesse a suonare ognuna uno strumento diverso, minacciandole di morte se non lo avessero fatto. Io ero appena stato congelato, per aver tentato di aprire la porta della cella con la mia mano chiave, ma Finn escogitò uno stratagemma mentre le principesse suonavano con Re Ghiaccio, facendo uscire il Re dalla stanza con un pretesto, e comunicando alle principesse il suo piano. Tornato il Re, Finn e le principesse fecero finta di divertirsi un mondo e di volerlo nella cella, ma quando questi aprì la porta, permettendo alle principesse e a me di fuggire, Finn lo prese a pugni facendogli perdere i sensi. Re Ghiaccio si ritrovò in un sogno, senza vestiti e coperto solo dalla sua barba, mentre solcava in volo il cielo stellato, chiedendosi perché lui non piacesse alla gente (“Forse, ho la barba troppo ispida?”), quando un Gufo Cosmico apparve al suo cospetto accusandolo di essere sociopatico, ma Re Ghiaccio lo derise chiamandolo “ imbranato volante”. Fatto rinvenire dai suoi pinguini, Re Ghiaccio scoprì che le principesse e Finn erano riusciti a fuggire sulla schiena del sottoscritto. Fu proprio durante la fuga che la Principessa Gelatina si dichiarò a Finn dicendogli di averlo scelto come “bocconcino” (fidanzato), ma quest’ultimo non parve tanto d’accordo. Ci pensai io a toglierlo d’impiccio, raccontando una frottola sul suo conto, che fece inorridire la Principessa Gelatina, rivelandole cioè – ma questa tienila per te curioso lettore – che Finn fa sempre la pipì a letto.

[vi] Jean Baudrillard, segnatamente, vai a fare in… , ndr.

[vii] Butch Cassidy, ndr.

[viii] Sundance Kid, ndr.

#4

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Indian Jewelry @ Clan Destino 19.10.2013

Jay (pics by Maggiormenta and Spicchio)

Non c’è niente di più facile che raccontare un concerto quando tutti i tuoi lettori, nessuno escluso, sono al concerto con te: «Ehi, amigos, ma che seratona è stata, eh? Questi qua spaaaccano!» e così via… Uno scambio di sguardi complici, un giro di pacche sulle spalle e tutto finisce lì.

 Se non fosse per te, finirebbe lì.

Ma tu no, caro lettore, tu non hai prestato ascolto alla vocina in falsetto del tuo animo psych che ti intimava di non perdere gli Indian Jewelry, e hai preferito credere che la vocina di cui sopra fosse solo Arisa ospite di X-factor in TV; proprio tu, che ami la band della Space City (che non è il nome di un regno di “Adventure Time”, sapientino amorevole, ma solo uno dei soprannomi di Houston, TX) fin dai loro primi vagiti, venerdì dopo cena hai cionondimeno trovato che il costume da Coglione™ (vedi GR # 3, ndr) ti calzasse a pennellino, e Faenza fosse decisamente più lontana della camera da letto; tu che, a forza di specchiarti la sera nel suddetto costume, non frequenti un concerto da quella volta che, in cambio di alcune centinaia di $ in cartoni di birra, hai ceduto agli Hell’s Angels di Ralf “Sonny” Barger l’organizzazione dell’ “Altamont Free Concert” all’Altamont Raceway Park di Tracy, CA, il 6 dicembre 1969, tra l’altro con le conseguenze universalmente e tristemente note di cui sappiamo; tu che sei la solita dannata eccezione alla solita dannatissima regola; tu che, tra l’altro, eri il nostro eroe, caro lettore, il nostro eroe, diamine… Tu, tu e ancora tu: questo GR # 4 mi tocca scriverlo per te, perché gli altri dolcibotti erano tutti lì al concerto.

Ogni tanto, però – qualche volta, dai – la sera magari esci solo un po’, sì?

Venerdì è stata una seratona coi fiocchi. Maggiormenta, Cannello ed io – il tuo amico Jake – siamo partiti di buon ora dal parcheggio che chiameremo con il nome fittizio di “parcheggio del Puente Hills Mall di Rowland Heights, CA”, con l’obiettivo di raggiungere un altro vicino parcheggio che chiameremo convenzionalmente “parcheggio del Machus Red Fox Restaurant di Bloomfield, MI”, ove ad attenderci avremmo trovato Spicchio, un dolcibotto del Regno di Dolcilandia, con il quale – e grazie al potente mezzo del quale – avremmo raggiunto Faenza in uno zot.

Prima però, Maggiormenta ed io, in attesa di Cannello, ci siamo dovuti sorbire la scena clou dell’ultimo (mi auguro, ndr) episodio di una black comedy di cui non conosco il titolo, ma, se la serie non finisce presto, posso immaginare l’epilogo, nel quale un aitante LUI, con un corredo dialettico insufficiente anche solo per presentare il curriculum propedeutico all’assunzione, in qualità di garzone di bottega, ai pittori paleolitici della grotta di Lascaux, ed un Samsung Galaxy S4[i] nella mano sx (che scopriremo fornire a costui fondamento per i suoi sospetti), intimava, con l’indice della mano dx puntato, l’immediata interruzione della fuga, altresì prefigurando un successivo ed inesorabile supplemento di ampie ed attendibili delucidazioni, ad una peraltro sfuggente e dotatissima di ben altri corredi LEI, proprio lì, nel parcheggio che abbiamo chiamato con il nome fittizio di “parcheggio del Puente Hills Mall di Rowland Heights, CA”, con le seguenti concitate parole: «Eh no, eh… tu non te ne vai così, no! No! Al telefono non rispondi dalle 2:30 (CET) alle 8:00 (CET) e adesso te ne vai? Eh, no! No… adesso tu mi dici dove sei stata! Dove c***o sei stata, oh?!» e così via… citando, forse inconsapevolmente, la canzone più famosa e stracoverizzata di quel gran maestro di Lead Belly, uno che al Texas gli dava del tu, caro lettore, anche se era nato in Louisiana, e si chiamava così perché aveva una pallottola nella pancia, mica noccioline.

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Ed eccoci là, finalmente all’ingresso del venticinquenne Clan Destino, sempre bello ma un po’ desertino, almeno al momento del nostro arrivo (poi si sarebbe riempito tutto, ndr), perché, da bravi vegliardi, l’abbiamo approcciato troppo in anticipo: appena entrati, la non più venticinquenne ma sempre leggendaria barista (non la Morena, l’altra, quella alta coi capelli lunghi, su, ndr), servendoci le prime quattro di un numero offuscato di birre che avremmo solertemente consumato nell’arco della serata, ci ha già scansionato e chiesto da dove veniamo, che – dai – si vede che non siamo di Faenza, e per quanto ci si adatti Dolcelandia e Ooo sono davvero molto molto lontani dall’Emilia.

Birre alla mano ci siamo seduti al tavolo del soppalco proprio vicino a quello della band, che stava serenamente cenando, a parlare dei nostri tre argomenti fissi, di cui i due che ti svelerò stavolta sono il rock e la filosofia spicciola.

Poi, sollevando con ricalcata distrazione, che mal celava interesse, lo sguardo felino dal display dello smartphone, la cui marca terrò in serbo finché il suo produttore non provvederà al bonifico per la somma pattuita a favore del sottoscritto, Mary S mi ha sorriso, proprio mentre Maggiormenta ci introduceva all’ultimo album dei Fuck Buttons[ii] che fuoriusciva gagliardo dagli speakers del locale.

Giuro, è stata lei a cominciare – figurati che io non sapevo nemmeno che fosse nella band e la credevo la babysitter della figlia di Erika T – io le ho solo sorriso di rimando, per educazione, mentre queste due parole – fuck e buttons – svolazzavano nella mia mente, come zanzare in un’afosa notte d’estate in cerca di qualcosa da bere.  È stata lei a piazzare la zanzariera elettrica a forma di cuore (Racan Fly Grill 69 Heartshaped Special Edition, 3x13W, professionale) sulle loro innocenti e disgraziate traiettorie, e quando l’aria di quell’estiva notte psichica ha assunto un velato profumo di alucce d’insetto disintegrate, io mi sono perdutamente innamorato di lei (di Mary, eh, non della zanzariera elettrica. Stammi vicino – caro lettore – che qui la trama si infittisce, ndr). Ok, dai, a esser franchi fino in fondo, io la miciona la fissavo già da un po’ con la lingua fuori dalla bocca, caro mio, ma a mia parziale discolpa mi preme ricordarti che sono sempre io, Jake, cioè un cane del regno di Ooo, e la mia non era comunque l’unica lingua fuori dalla bocca, perché anche Erika T si stava prendendo cura delle zanzare di Maggiormenta, che oltretutto è un dolcibotto, mica un cane.

Ed eccoci là, in formazione classica ad un istante dall’inizio del concerto: Cannello alla postazione PC, che oltre a dominare dall’alto il palco, venerdì era anche a pochi cm da un tavolo di 4 tipe le cui zanzariere psichiche, pur richiamando il profilo di organi del corpo umano, non si può dire che fossero a forma di cuore, ma tu fa conto che io non ti abbia detto niente, che ‘sto blog è collegato ad un account fb e ad un twitter che hanno orecchie più lunghe dei radio telescopi del progetto SETI, per cui ammucchiamola qui; Spicchio sulle scale, per la visione assonometrica e di taglio, che predilige; Maggiormenta ed io con gli occhi negli occhi delle nostre rispettive bellone, etc.

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Reports from the edges of the stage & beyond

Appena Erika T appende al supporto di tastiera e power electronics la bandiera del Lone Star State, il concerto inizia con “Fire” ed il misterioso ed ipnotico sound degli Indian Jewelry ci avvolge tutti.  La stella solitaria sulla bandiera è il varco, e alla fine di “Freak Pride” molti presenti sono sulla soglia, mentre lo show visionario si raggruma in un aneurisma che ingoia il tempo, il fuso cade di mano e con esso anche noi cadiamo oltre il varco, guardando la goccia di sangue sul palmo, giù nel vortice di “Snake”, “Moonlight” e “See Forever”.

Di là, non c’ è alcun bianconiglio, ciccino caro[iii], ma l’enciclopedia completa della psichedelia texana, diciamo da “Lost Highway” di Hank Williams in poi, con il Rollercoaster dei 13th Floor Elevators che schizza su fino al collasso di “Hey” dei Butthole Surfers[iv], o se preferisci dal Larry McMurtry di “The Last Picture Show” che sale sul pick up con il James Lee Burke di “Two for Texas” per una corsa fino al Joe R. Lansdale di “The Nightrunners”, fa lo stesso.

L’enciclopedia la tengono gli Indian Jewelry, perché stanno scrivendo l’ultimo capitolo, ti è chiaro?

Di là, se non hai mai ascoltato rock o letto un libro decente, c’è solo la sequenza dell’highway di notte ripresa dall’auto che la divora, sospesa in loop eterno senza più un solo fotogramma del resto del film di Lynch[v] che, guarda un po’, si chiama “Lost Highway”, nel quale, se proprio ti mancano Lewis Carroll[vi] e/o i Jefferson Airplane[vii], puoi trovare l’unica Alice di questa storia.

Il loop eterno dell’highway di notte, ingoiata dall’auto che non va in nessun posto, e là fuori, circondati dal buio impenetrabile, irraggiungibili, gli Indian Jewelry stanno suonando “Hello Africa”, l’ultimo capitolo dell’enciclopedia, alla luce fioca di un’unica lampadina che dondola sulle loro teste, nel remoto honky tonk che non ha nome, né indirizzo, ma che convenzionalmente chiameremo solo per questa notte “Anhalt Hall”, e potrebbe trovarsi proprio sulla Anhalt Road, fuori dalla Texas Hwy 46, 4.5 miglia ad ovest della US 281, ad Anhalt, Texas.

Hello Africa/ Hello Af-ri-ca/ Hell Africa/ Hello Hello…

Insomma, un concerto jakecosmico!

Poi, armato del mio inglese fluente, con spiccato accento del Regno di Ooo, mi sono recato da Mary S, ma questa te la racconto un’altra volta.

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[i] L’eventuale gratitudine economica della di cui casa produttrice, quale compenso forfettario per questa umile e sottile pubblicità occulta, è sempre bene accetta.

[ii] Che si aggiudicano, praticamente senza avversari, il premio per il nome più cerebrale possibile da dare ad una band.

[iii] E comunque il fuso che punge la mano non fa parte di “Alice nel paese delle Meraviglie”, ma della “Bella Addormentata nel Bosco”, ma fattene una ragione, a volte noi gonzo reporters ci si prende le nostre belle licenze poetiche…

[iv] Con il cui nome non c’è, e mai ci sarà, alcun nome di band che possa rivaleggiare.

[v] Che è di Missoula, MT, ma dai…

[vi] Che era di Daresbury, Cheshire, GB, ma insomma…

[vii] Che sono di San Francisco, CA, che però…

 

 

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The Appleseed Cast @ Sidro Club – 7/10/13

Jay

Chi pensa che “Adventure Time” sia supercool ma un po’ surreale, oppure supercool perché un po’ surreale, dovrebbe fare un duro esame di coscienza chiedendosi se per caso non sia la sua vitaccia ad essere più ripetitiva e monotona del percorso della lancetta dei secondi nel quadrante dell’orologio che porta al polso (e, segnatamente, chi come me ha al polso un orologio digitale, o chi come Flavor Flav l’orologio lo porta al collo, non dovrebbe ritenersi esente da tale incombenza, mentre a chi non porta l’orologio non assegno altro incarico se non quello di gingillarsi con il mio più rancoroso disprezzo).

A mio figlio Jay jr ed al sottoscritto Jay sr capita spesso di rincasare la sera, centrifugati, ammorbiditi e strizzati per bene da quella lavatrice di impegni che la nostra PSB, Principessa dello Spazio Bitorzolo, carica e programma per noi la mattina, prima di assentarsi per il resto della giornata.

Così ieri, quando ci siamo chiusi la porta di casa alle spalle, Jay jr ed io, novelli Finn e Jake, avevamo già salvato la Principessa Gelatina dal vortice della Nave Fantasma; eliminato il Drago Sputafuoco; presenziato alla Festa Bitorzola di PSB, dalla quale PSB stessa, all’ultimo, in preda ad una crisi d’identità, si è chiamata fuori; dato una mano a Maggiormenta, il maggiordomo del castello di Gommarosa, alle prese con un incidente in cui era coinvolto un goblin; salvato la Principessa Lampone dal Re Ghiaccio; catturato alcuni banditi; salvato una casa da un’eruzione vulcanica; pranzato con un’oca; e benché fossero già le 20:03, c’era ancora da mettere in tavola la cena.

Dopodiché, avremmo dovuto accogliere degnamente la PSB, al ritorno dal Lavoro Bitorzolo, soggiacere benevoli al suo puntuale interrogatorio, volto ad agevolare l’apposizione dei segni di spunta nella checklist mentale della PSB stessa, riferita al corretto espletamento dei compiti assegnateci dalla PSB medesima per la giornataccia, e pericolosamente affacciata, e a tratti strapiombante, sull’Orrido del Senso di Colpa da Tripla M (MadreMoglieManager) della sempre suddetta ed emerita PSB, al cui cospetto (dell’orrido, caro lettore, non della PSB) il canyon che dalla testata del letto – posta a Page, AZ – ai piedi del talamo – sito a Boulder City, NV – ospita i sonni agitati di quel ragazzaccio del fiume Colorado non è degno del nome che porta.

Infine, ci saremmo accomiatati complici, e il Jay anagraficamente sr, una volta agevolato l’approdo del Jay ontologicamente jr tra le braccia di Orfeo (che, cari i miei sapientini, NON È un personaggio di “Adventure Time”), avrebbe dovuto recarsi al Sidro Club, quello con le procedure d’accesso leggermente più complicate del sito del Minutemen II di Wall, SD (vedi GR #2).

Capirete ora che la mia forza di volontà, annodata in fondo al filo della collana di avventure di cui ho appena dato conto, vacillasse ondivaga sotto l’immane gravitazione terrestre che sembrava avere piazzato un enorme magnete proprio in corrispondenza del mio letto, ma poi, ad un passo dal forfait, una vocina dal mio cinico animo emo/post mi ha sussurrato: «E dai, su, fai Il Coglione™, resta a casa con la PSB a guardare la TV divorando dolcetti, d’altronde sono solo 15 anni che aspetti di vedere gli Appleseed Cast in concerto, e se questi dovessero aspettare altri 15 anni prima di tornare, saresti costretto ad implorare Jay jr di tenerti un posto in macchina per la serata, a scapito di qualche amichetto/a supasupakool e dei tuoi compari che ti aspettano con le bocce in mano al centro anziani!»

Così, mi sono fatto forza e sono sfuggito al Campo Magnetico Casalingo (CMC).

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Reports from the edges of the stage & beyond

Fortuna che il concerto è stato a dir poco finntastico.

Le procedure d’accesso sono state meno farraginose del giorno precedente, forse per merito dell’assenza della CSBA (Cortese Signora Bionda Astigmatica, n.d.r. – vedi GR #2), fieramente sostituita, sulla soglia del fatidico varco tra il bar e la sala concerti, da un Giovane Cerbero dai Modi Affabili (GCMA), e perfino il secondo gruppo di supporto ha dato un senso alla triste-esistenza-per-il-resto-senza-senso dei gruppi di supporto – costretti spesso a suonare set, peraltro pregevolissimi come nel caso di questi JUNE MILLER di Massa Carrara, nella pressoché totale indifferenza di Chi È Venuto Lì Per Quelli Che Suonano Dopo Di Te – quando il chitarrista ha prestato la sua chitarra a Chris Crisci che aveva appena assistito all’improvvisa dipartita della sua fender jaguar nel bel bezzo del live.

Gli AC, disimpegnati e alla mano, hanno spaccato, regalando un concerto monstre, che ha ripercorso i lavori della loro lunga carriera, invitando anche un tizio in platea a salire sul palco e suonare il basso con loro nel bel mezzo di un’esecuzione peraltro entusiasmante, privilegiando i brani del mitico doppio “Low Level Owl” e infilando quasi in chiusura una “Fishing the Sky” da far accapponare la pelle (da “Mare Vitalis”, anno di grazia 1999, cioè quando il 94% dei paganti si scambiava ancora le figurine di Yu-Gi-Oh).

Se i concerti fossero tutti godibili almeno la metà di questo, sarebbe una bazzecola sfuggire al Campo Magnetico Casalingo per assistervi.

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Mi serve solo un istante ancora per assicurarmi che il mio più cordiale e sentito plauso vada a quell’eroe di strada che, all’una e trenta di notte, si è fatto tutta la SS9 da Savignano allo svincolo della nuova fiera di Rimini, quattro metri dietro a me, con gli abbaglianti accesi: sei un grande, ragazzo, ti porto ancora stampato sulle retine! Se puoi, scrivimi solo un commento sul blog per ragguagliarmi sulle ultime novità nel campo dei coadiuvanti psichici di cui fai certamente uso, perché sono un vecchio e sono rimasto al palo…

Poi, finalmente rientrato sotto l’influsso del CMC, sono andato a dormire proprio a fianco della PSB, che quando dorme sorride, perché sogna di essere una sola M, sia pur solo Moglie o meglio ancora solo Mamma o anche solo Manager, ma una strana sensazione mi ha impedito di prendere sonno: dalla collina di fronte a casa uno stravagante cavallo mi stava fissando. Allora ho cercato di ignorarlo, tirando la tenda sulla finestra, ma proprio in quell’istante è sorta la luna a proiettare l’ombra del cavallo sulla parete. Infastidito dalla situazione, ho svegliato Jay jr e siamo usciti a cercare di convincere il cavallo a spostarsi.

Non era un cavallo, ma un gonfiabile, in cui il Re Ghiaccio si nascondeva al solo scopo di spiarci, per capire come si fa a diventare felici, poiché è sempre triste e solo: non so se l’ha scoperto, visto che ormai sfiniti ci siamo assopiti appoggiati a lui.

#2 

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Psychic Ills @ Sidro Club – 6/10/13

Jay

Immaginate solo per un attimo di trovarvi – così, di pacca – nel 1963, e di essere uno sbadato turista russo, sperduto nella prateria americana, che si arrovella con il desiderio impellente di visitare il “Launch Facility Delta Nine (D-09)” di Wall, South Dakota (sito che ospita un missile Minuteman II proprio vicino all’ingresso del Badlands NP, a nord della riserva indiana e ad est di Rapid City), perché si ostina ad usare la guida Routard invece della Rough, e lo ha scambiato per l’universalmente famosissimo Wall Drug Store, leggendaria roadside attraction che dal 1931 ha sede nella stessa cittadina, grazie all’acume finanziario di Ted Hustead, un farmacista del vicino Nebraska. Ebbene, nei panni di questo turista distratto ed impulsivo, dedito all’improba impresa di violare – a piedi – le sacre difese militari statunitensi e farsi una foto ricordo col – ehm – “custode” del Minuteman II, vi cimentereste comunque con meno difficoltà di quelle che ho incontrato io ieri sera per entrare al Sidro Club, in occasione del concerto di questi bravi picciotti, che, tra tutti i nomi disponibili, ci hanno tenuto a chiamarsi – giuro – “PSYCHIC ILLS”.

Al bar, la Barista A Pois mi dà una birra per modici euro 4, ma preleva rapace dispiaciuti euro 6, poiché con l’agognata birra mi affibbia anche una spilletta, un badge, una patacca – insomma – con stampigliato sopra il roboante logo del simpatico club che mi ospita e cui agogno aderire, e beandosi del mio sguardo interrogativo, laconica ma illuminante recita: «I due euro te li ridò quando mi riporti il bicchiere vuoto e la spilletta.» Macchiccazzotel’hachiestalaspilletta-tel’hocchiestaio,percaso, Barista-A-Pois?

Al che, con la patacca in tasca e la birra in mano, mi avvicino al varco tra il bar e la sala da concerto, e qui – per amor vostro – vi evito facili figure retoriche che già scalpitano sotto i tasti, e non avrebbero difficoltà alcuna a delineare uno scontato parallelo con analoghe fatiche, tese a solcare ben più bramati varchi.

A guardia del varco c’è lei, la Cortese Signora Bionda Astigmatica:

Turista russo, assorto e risoluto, avvicinandosi alla di cui sopra CSBA, pensa:  “Adesso faccio la tessera, pago e entro, che  muoio dalla voglia di ascoltare gli ottimi HERBA MATE, notevolissima desert stoner band di Castel Bolognese, RA, poiché è solo la 479esima volta che li vedo, e non me li voglio perdere!”

CSBA, altrettanto risoluta con un non so ché di requisitorio: «Mi fa vedere il timbro?».

Turista russo, ebete ed impacciato, fissando CSBA nella correzione diottrica, muto pensa: “Eccheccazzo! La spilla, il timbro, ma lo organizza la burocrazia austriaca ’sto concerto?”

CSBA, trionfante: «La serata è a pagamento, deve fare tessera e biglietto al piano superiore: vi si accede dall’ESTERNO».

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Reports from the edges of the stage & beyond

Che dire, una volta ottemperato a tutto ciò, stare svegli fino all’una con gli PSYCHIC ILLS è stato uno scherzo.

Come ho già detto, i picciotti sono bravi: immaginate degli Spacemen 3 che però non sanno suonare, né scrivere canzoni, per cui – ovvio – li ho apprezzati moltissimo. Unico neo, i nostri non sorridono mai; ma si sa, ai giovani piace atteggiarsi, che mica lo sanno che la vecchiaia è brutta ed è meglio per loro sorridere adesso, che i denti ce li hanno ancora tutti in bocca, che dopo, quando la dentiera se la saranno dovuta guadagnare vendendo questi bei dischi neo-psych.

E comunque – per i maniaci dei dettagli – la risposta è no: non me ne sono andato via così alticcio da dimenticare di restituire la patacca alla legittima proprietaria – la Barista A Pois – e rientrare al fine in possesso dei maltolti e preziosi euro 2.

# 1

Crash Of Rhinos (pic Manzo)

Crash Of Rhinos @ Hana-bi – 24/9/13

Jay + Manzo

Arrivati in anticipo, come autobus tirolesi. Subito presi di punta dalla barista con la frangetta, che visti i loschi figuri che le si prospettavano ci ha tenuto a chiarire subito le regole del gioco: happy hour – sì – ma la birra la scelgo io. Ok barista con la frangetta ok, noi siamo pacifisti da tre generazioni, “ban the bomb” è una nostra invenzione, ecc, ecc (masembriamopulotti, Manzo?). Serata estiva, con le palline legate alla tettoia tutte accese, ma col palco girato verso il portico, a scanso di equivoci con il meteo.it.

Audience bella variegata ed eterogenea, come piace a noi: l’emocore, tolti i sempiterni kids, è sempre stata roba da frontiera, altro che Calexico e Friends of Dean Martinez!

Reports from the edges of the stage & beyond

Il Manzo si accende la paglia da concerto e si parte con RAEIN, che va detto se la cavano egregiamente. Poi, quando i COR attaccano con uno strappamutande dal loro secondo LP, mi ti ci vi si piazza davanti il Cappellaio Matto, col cappello della festa! Scusa Cappellaio Matto, mavaffanculonelbrucomela-va!

I COR hanno gran manico stasera  e il concerto è diretto ed ispirato – a me piace tanto BIG SEA, a Manzo l’encore – eppoi finiamo a parlare degli helmetunsanecopshootcopsurgery come i veci che siamo, e quando mi appropinquo al merchandising per comprarmi KNOTS, un tizio mi dà del LEI e mi chiede cosa voglia – e io – il CD, no? Che il vinile non ho più la forza di alzarmi per girarlo… O ti paio uno da maglietta gialla con scritto sopra SCONTRO DI RINOCERONTI?!

Serataccia bella eh, il Manzo ed io ce la siamo headbangata tutta, e poi vi ho taciuto delle molte-molte altre pregevolissime ehm “cose” che dai, ok, dai, non si può più dire un cazzo che subito ti mozzano la giugulare e ti danno del suino sciovinista.

Adiòs, barista con la frangetta, tu eri tosta ma la birra acquosetta…

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